martedì 28 giugno 2016

748. La malafede del marketing.

Il 25 settembre 2013 fu fonte di una polemica violenta e globale con conseguente crollo delle vendite aziendali la risposta di Guido Barilla su Radio24, al quesito sul mancato spazio dato agli omosessuali nei propri spot "Non faremo pubblicità con omosessuali perché a noi piace la Famiglia tradizionale. Se i gay non sono d'accordo, possono sempre mangiare la pasta di un'altra marca". Della serie renziana di "Ce ne faremo una ragione". Arroganza pura. ma legittima. Ma per le ripercussioni finanziarie negative la Barilla imboccò la via di Damasco del marketing ottenendo in poco tempo il Corporate Equality Index da un'importante associazione per i diritti omosessuali, in una graduatoria annuale basata sulle politiche aziendali in questo ambito: una marcia indietro clamorosa e fulminea per passare da stron2a a gay-friendly attraverso una tattica direi di malafede conclamata e di conversione pelosa, come se la Garnero-Santanchè decidesse di entrare in SEL.
Ma io mi chiedo: i consumatori davvero valutano di più la correttezza politica di un’azienda della qualità dei suoi prodotti?
A me e alla mia famiglia quell’uscita pubblica ha fatto bandire dalle scelte di spesa, nei limiti del possibile e dell’attenzione, persino i prodotti Barilla commercializzati con altro marchio come Voiello, Mulinobianco, Pandistelle, Pavesi, Grancereale e Wasa.
Detto questo, mi sorge un dubbio, quasi una certezza: se la comunicazione strategica e le leggi del marketing fanno davvero della Famiglia col suo focolare il destinatario consumistico della pubblicità forse la qualità resta in secondo o terzo piano rispetto al profitto, e devo dire che sin dagli anni ’70 mia mamma e mia nonna consideravano i prodotti Barilla molto sopravvalutati nei "Caroselli" rispetto all’effettiva qualità. Consumate, gente, ma badate!

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