venerdì 17 luglio 2015

712. La Grecia nella m3rda.

Il neo-liberismo è un'economia capitalistica fondata sul debito: pare l'incipit di una Costituzione moderna e invece è la dichiarazione d'un'aberrazione finanziaria dilagata nell'Unione Europea che governa il circolo consortile tra banche, organi internazionali e nazioni, a spese dei cittadini e del lavoro di qualunque tipo. 
Tutta una storia di condoni, tassi d'interesse, prestiti forzosi, regole e austerità imposte, e nessun provvedimento per cavare soldi alla lobby tipicamente greca degli Armatori.  
Facciamo un salto indietro di appena 6 anni: il 20/10/2009, l’allora neo-premier greco di centro-sinistra Yorghos Papandhreu, rivelò che i conti della Grecia erano stati truccati dai precedenti governi conservatori e socialisti, complici l'Ufficio Statistico dell'Unione Europea e la Goldman Sachs, banca d'affari arrivata in aiuto di Atene per la sua entrata nell'euro. Contestualmente si seppe anche che il deficit effettivo in questione era addirittura quasi 4 volte di quello dichiarato, non del 3,7 rispetto al PIL, che già avrebbe oltrepassato il limite del 3 fissato da Maastricht, ma del 12,7!!!
Così a marzo 2010 il Parlamento Greco approvò il primo piano d'austerità, per tagliare i costi e aumentare i ricavi, attraverso congelamento dei salari, blocco delle assunzioni pubbliche, e innalzamento di età pensionabile, IVA, tasse su alcolici, tabacchi e dividendi.
Nel frattempo, davanti alla sfiducia di chi aveva in mano il debito pubblico Greco attraverso i titoli di Stato, soprattutto banche, le agenzie di valutazione finanziaria dichiararono Atene incapace di rendere i fondi, declassando così di fatto a “spazzatura” i suoi titoli di Stato, il che causò un aumento vertiginoso degli interessi da pagare per finanziare il debito: col rischio di fallimento dello Stato aumentarono anche gli interessi chiesti da chi accettava di prestare soldi a quel Paese. Per questo Papandhreu ottenne dalla Troika, per rifinanziare il "proprio" debito, un prestito di 110 miliardi di euro in 3 anni a tassi del 5,2 per cento, più bassi rispetto a quelli chiesti dai soliti investitori, in cambio però di altre riforme.
Così il Parlamento greco approvò Il 29 giugno 2010 nuove misure di austerità, tra cui tagli agli stipendi dei dipendenti pubblici e un ulteriore aumento delle tasse, e circa 6 mesi dopo il nostro ministro dell’Economia di allora Tremonti e l’allora presidente dell’Eurogruppo Juncker, proposero un'agenzia che potesse emettere titoli di Stato Europei: una vera rivoluzione per i debiti delle singole nazioni, che sarebbero confluiti in un unico debito europeo Eurobond, che sfumò per l'opposizione della Germania.
Ma nonostante le riforme continuò a diminuire il PIL, salì ancora la disoccupazione, e peggiorò anche il bilancio dello Stato. Allora il 26/10/2011 la Troika, cioè il Consiglio Creditorio, e banche creditrici decisero di rinunciare a circa 100 miliardi di euro di quei fondi, e i Paesi-Euro ridussero il tasso d'interesse dal 5,2 al 4,2 per cento, allungando la scadenza del rimborso. A novembre proseguirono le proteste contro tagli e tasse, e Papandhreu si dimise a favore di un Governo Tecnico di unità nazionale con Nea Dhemocratia, presieduto da Lukas Papadhemos, con trascorsi in BCE e Goldman Sachs.
All’inizio del 2012 l'Eurozona approvò un altro piano di prestiti da 130 miliardi di euro, in cambio di altre riforme, che il Parlamento greco accettò, assieme a privatizzazioni ed altro, e le proteste aumentarono.
A metà giugno si andò a elezioni, con la vittoria del Centrodestra con Andonis Samaras di Nea Dhemocratia. Ma la radicalizzazione della protesta popolare si focalizzò sul consenso per la Coalizione Radicale a sinistra e per AlbaDorata a destra.
Tutto continuò a peggiorare, tranne il bilancio dello Stato che dopo anni migliorò, profilando la possibilità che il Pil nel 2015 ricrescesse. Perciò la Grecia tornò a finanziarsi sui mercati, emettendo titoli di Stato per 3 miliardi di euro, con un’offerta molto inferiore alla domanda.
Ma poi il governo Samaras andò in crisi per un mancato accordo sul nuovo Capo dello Stato da designare: le elezioni anticipate il 29/1/2015 mandano Alexis Tsipras al Governo a capo d'una coalizione tra i radicali di sinistra di Syriza e i nazionalisti di destra di Anel, sbandierando la sfida al principio su cui si basa il salvataggio da parte della Troika, e cioè soldi in cambio di austerità.
Quel bilancio è ancora in pesante deficit e così s’avvia una trattativa per un nuovo accordo col Consiglio Creditorio per nuovi prestiti, che però s’interrompe: Tsipras non accetta il piano di riforme proposto e chiede al popolo di decidere con un referendum.
A fine-giugno, con la mancata restituzione al FMI di una rata del prestito, pari a 1,56 miliardi di euro, ecco la bancarotta Greca, anche se parziale.
E, 5 giorni dopo, la maggioranza dei votanti greci (61%) dice “no” alle proposte della Troika.
Intanto Tsipras è riuscito a stralciare qualche oscenità palese dal patto ricattatorio della Banda dei Cinque, Draghi, Merkel, Hollande, Juncker e Lagarde, ma i soldi e le Riforme portate a casa scontentano e scatenano il Paese allo stremo che aveva fiducia in lui.
Le noccioline offerte, condonate e rimesse sul tavolo nel corso degli anni alla Grecia sono miliardi di euro, e il Governo di oggi non pare essere finora colpevole d'essersi mangiato neanche una parte di tutti i soldi che almeno in una decina d'anni son spariti dall'economia del Paese che inventò la Filosofia occidentale.
fonte info: espresso.repubblica.it -

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