In questo scorcio di luglio l'afa a Milano è davvero "abissina", ma senza esotismo e per ora senza dittatura.
L'umidità rende la gente appiccicaticcia come caramelle già succhiate: raramente mi sono lavato le mani quanto in questi ultimi giorni.
Sento sempre più persone con riserve di cibi pronti in frigo: pasta, riso, semole e cereali già cotti da miscelare all'ultimo con verdure, legumi e aromi, perché ai fornelli non si riesce a stare per più di 5 minuti.
Al lavoro i milanesi stanno andando come morti viventi, trascinandosi svogliati, spogliati, sudati e sprimacciati sui mezzi di trasporto, e alle fermate boccheggiano, e il solito sbocco all'aperto del mio viaggio in metrò ha smesso per ora di risultarmi ravvivante.
Invece al ritorno dal lavoro mi sta capitando spesso di incontrare in superficie turisti, disorientati anche dalla calura, che arrancano ansimanti con o senza valigie verso destinazioni incerte e nebulose che ci s'immagina essere miraggi o oasi inquinate in bianco e nero dove potrebbero non arrivare mai, come in un film di fantascienza apocalittica.
D'altra parte mai come questa volta m'accorgo che gli appartamenti non d'epoca senza refrigerazione non riparano gli abitanti ma li cuociono, coi loro muri modesti di cemento, mattoni e gesso che covano l'irradiazione intensissima del sole come un forno indiano: è una percezione davvero ansiogena.
Solo vento e pioggia dànno speranza.
D'altra parte mai come questa volta m'accorgo che gli appartamenti non d'epoca senza refrigerazione non riparano gli abitanti ma li cuociono, coi loro muri modesti di cemento, mattoni e gesso che covano l'irradiazione intensissima del sole come un forno indiano: è una percezione davvero ansiogena.
Solo vento e pioggia dànno speranza.
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