“Un borghese piccolo piccolo” del 1977: a Roma un modesto dipendente pubblico alle soglie della pensione, Alberto Sordi, e la moglie, Shelley Winters, sperano in grande per il figlio, Vincenzo Crocitti, ragioniere appena diplomato e poco brillante: per la sua futura carriera il padre arriva a umiliarsi e persino a iscriversi a una loggia massonica. Il giorno della conferma delle loro speranze rispetto all’impiego nello stesso ufficio pubblico, il figlio muore ucciso da un proiettile “uscito” da una rapina che coinvolge per caso padre e figlio. I 2 coniugi, stravolti moralmente, vengono segnati in 2 modi diversi. A lei viene un ictus che la priva della favella e la immobilizza su una sedia a rotelle. Invece lui viene assalito da un desiderio di vendetta patologico che lo porta a indagare per individuare e sottrarre alla cattura il giovane assassino, per sequestrarlo in un capanno dove lo tortura fino alla morte davanti agli occhi muti e disperati di sua moglie. Il protagonista, ormai folle, morta anche la compagna della sua vita, la fa comunque franca e il finale ne mostra la follia vendicatrice non sedata.
Questo film, fortemente realista, è considerato la resa del grande Monicelli alla fine della commedia all’italiana: dalla fiduciosa e amorosa presa in giro dei vizi italiani passa qui a descrivere senza pietà i nostri difetti e i loro risvolti, completamente sfiduciato dalla trasformazione in mostro della nostra società, con lo stesso disincanto di Lizzani in “Roma bene”: “Non c'è più nulla da sperare, da credere, da ridere”. In ambientazioni quasi fantozziane, come caratteristi trovai qui valentissimi Romolo Valli e Renato Scarpa. I protagonisti Alberto Sordi e Shelley Winters, accoppiata inedita, mi si confermarono grandissimi attori, lei per l’espressività fenomenale, in una parte dove la parola resta in secondo piano, e lui per la recitazione eccezionale, avendo pulito per la prima volta la propria maschera tragica dalle corde comiche, risultato per me già ravvisabile 6 anni prima in “Detenuto in attesa di giudizio” di Nanni Loy.
Questo film, fortemente realista, è considerato la resa del grande Monicelli alla fine della commedia all’italiana: dalla fiduciosa e amorosa presa in giro dei vizi italiani passa qui a descrivere senza pietà i nostri difetti e i loro risvolti, completamente sfiduciato dalla trasformazione in mostro della nostra società, con lo stesso disincanto di Lizzani in “Roma bene”: “Non c'è più nulla da sperare, da credere, da ridere”. In ambientazioni quasi fantozziane, come caratteristi trovai qui valentissimi Romolo Valli e Renato Scarpa. I protagonisti Alberto Sordi e Shelley Winters, accoppiata inedita, mi si confermarono grandissimi attori, lei per l’espressività fenomenale, in una parte dove la parola resta in secondo piano, e lui per la recitazione eccezionale, avendo pulito per la prima volta la propria maschera tragica dalle corde comiche, risultato per me già ravvisabile 6 anni prima in “Detenuto in attesa di giudizio” di Nanni Loy.
Nessun commento:
Posta un commento