Elementi per individuare un quadrilatero in una città portuale affacciata verso mezzogiorno.
Un alto lido costiero da percorrere verso est che termini in un promontorio accennato, ornato da un luogo di culto, antico e scolorito.
Da qui un bivio di cui ci interessa una variante urbana molto subtropicale: strada ampia e spesso accecata dal sole, perpendicolare al mare, in salita, alberata da lampioni altissimi, e sboccante in una via molto più stretta.
Questa - in fuga anche verso levante - riesce ad incontrare a ponente, percorsa a sinistra dal muro di un terrapieno misterioso, un parco sulla destra, molto raccolto e silenzioso con una villa che fa da fondale a prati morbidi e ad alberi popolati di fantasie.
Nella mia memoria, il nostro perimetro, costeggiando subito di fronte al parco un galoppatoio, prosegue ancora retto e, passando, forse, sotto una specie di porta cittadina molto semplice, arriva a un altro lido, artificiale questo, e direi in stile novecento.
A questo punto uno spiazzo in discesa a sinistra ci trascina, attraverso una via trafficata, al primo lido, nostro elemento iniziale.
Parrebbe di descrivere un piccolo quartiere un po’ strano, forse snob, ma poco significativo: non fosse per la serie di discese e risalite - contornate anche da parchetti con ville e da mezze curve invase da piante - che lo percorrono anche parallelamente al mare, a vari livelli, come se in quel punto il territorio, naturalmente digradante verso il mare, fosse stato a suo tempo ulteriormen te ondulato, perforato, cavato e riformato per dare nuove occasioni alla vista e al passo di esplo rare scale, svolte, barriere vegetali, e alla mente di immaginare giardini segreti e scorciatoie invisibili.
In questo contorno, fatto di alternanze e molteplici contrasti, giace la mia infanzia.
Minuscole e assolate zone di negozi, e ombrosi tratti di strada di soli portoni e cinte.
Cortili ampi, aperti e infossati, solatii come le minuscole cave di tufo che punteggiano isole, molto più meridionali della nostra città. Nei viali gli alberi fronzuti e il vento marino riescono a gelare, svoltato un angolo, l’accaldatura che d’estate si accumula percorrendo altre strade, quasi incandescenti.
Arrivando dal mare, a sinistra del viale ombroso c’è la gelateria, presto storica, e dopo scorci di canyon cementizi punteggiati di erbacce e popolati di veicoli e detriti, finalmente la traversa dove penso di esser nato: quasi un cortile sbiadito dal sole di larghezza irregolare, con portoni, muretti e canaloni da un lato e una sorta di roggia asciutta dall’altro, con negozio al di là di un ponticello, interrotta da uno sterrato che tra palazzi conduce al galoppatoio. Dopodiché la mia strada s’impenna e su quegli angoli s’inanella un breve rosario di negozi gestiti da donne: la panettiera -che ci vende michette-, Elsa la lattaia -che dispensa oltre al latte le due uniche merendine ora disponibili-, la parrucchiera, la cartolaia alle cui vetrine m’incanto su fogli e matite. Sul lato opposto il nostro palazzo - che cresce da un cortile profondo – cui si accede su una larga passerella.
All’interno, dal piano d’entrata, tanto marmo nero bordato di bianco o giallo, e tre o quattro piani di appartamenti sopra e almeno uno sotto.
Al piano terreno l’abitazione della alta signora Miranda.
Al penultimo gli ingressi di casa nostra e di quella della zia Calla, bruna e simpatica, separati da una luminosa finestra di vetrocemento.
Uscendo dal nostro caseggiato a sinistra, una larga discesa in un altro cortile forse sterrato con un magazzino su cui campeggia una grande insegna che io leggo 3oppas.
Dopo il carraio della discesa, l’impennata del tracciato sfocia in una strada che precipita verso un’altra colonna di negozi: il barbiere, il fiorista, l’ortolano e forse un tintore.
Se fuori dal nostro numero civico si prosegue invece a destra, incrociando il viale ombroso, su per una ripida e improvvisa salita con pochi cancelli, si approda alla via della mia scuola, un po’ più avanti a sinistra, dopo un arco di mattoni: una villa con giardino, a due piani e con tanti accessi e comunicazioni.
La ripida salita riparata dalle piante, comunque, dopo l’approdo in costa, rotola di nuovo verso il basso allargandosi a dismisura e esponendosi al sole.
In fondo, lungo lo stradone con gli alti lampioni, altra meta commerciale quasi quotidiana: il consorzio, progenitore dei minimarket.
In un’altra via poco distante la trattoria Mariuccia da frequentare la domenica a pranzo e, imborrata in un ampio vallone di pietra, mattoni e cemento, l’abitazione di Tina la sarta e forse anche quella dell’infermiera Giovanna.
Adoro questo quartiere ma non ho il permesso di scatenarmi per le discese a causa di un’ernia inguinale e il mio più grande momento è avventurarmi in quel vicino parco a scoprire lucertole e margherite, oltre alle nicchie e agli anfratti affascinanti degli alberi spessi con le loro popolazioni di ragni e formiche.
Un giorno d’autunno inoltrato sarà la fine di tutto questo.
Leggendo questo variopinto ritratto ligure, che rappresenta un quartiere genovese, mi viene da chiederti: quanti anni hai? Il riferimento all'ernia inguinale mi inquieta un po'... L'hai risolta? Perché, sai, questa descrizione mi manda a tempi ormai soffocati da un'urbanizzazione che proprio allora cominciava i suoi nefasti effetti.
RispondiEliminaRileggendola (dopo quasi 2 anni, Walter!!!) ne colgo ancora maggiormente la poesia. Anche sapendo che l'ernia è stata risolta.
RispondiEliminaUna curiosità che ci accomuna: da piccino avevamo una lavatrice, ebbene, anche io vi leggevo sopra la scritta 3oppas.
Non ricordo ora come ora d aver già letto, a gennaio, questo tuo tardivo ri-commento. Allora te ne ringrazio di cuore, con la tua condivisione affettuosa di ricordi in comune ma non vissuti insieme. La lettura dell'insegna, nel mio caso, variava da 3oppas a Eoppas.
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